sabato 30 gennaio 2016

Sei pali nella nebbia

Ma voi lo avete mai visto un campo da calcetto nella nebbia. Avete mai visto un campo da calcetto di periferia nella nebbia? Il ferro delle porte, il ferro della recinzione, e la nebbia. Niente altro.

È un non luogo: tutto può accadere, ma il tempo è fermo, e quindi non succede niente.




mercoledì 6 gennaio 2016

Letto pulito

Oggi è venuta la donna delle pulizie. Ha rifatto il letto. Ha preso le lenzuola che c'erano e le ha messe a lavare. Ha preso delle lenzuola pulite e le ha messe sul letto. Non c'è più la coperta in disordine sul tuo lato, ora sono tutte tirate.
Eppure in questo odore di lavanda fresca io sento ancora te.

martedì 5 gennaio 2016

Arcobaleno

Era mezzanotte e io ero al letto.
L'ho letto di sfuggita, proprio mentre stavo per mettere il telefono in carica.

"Mi chiedo come sarebbe l'arcobaleno se gli uomini potessero vedere una gamma più vasta di colori"

C'era mia sorella in camera.
Abbiamo finito di parlare quando lei si è accorta che era l'una.

Vi auguro di leggerlo mentre siete con qualcuno di interessante e soprattutto quando avete tempo per discuterne. Anche se questo significherà dormire un'ora in meno. A volte ne vale la pena.

venerdì 1 gennaio 2016

2015: un anno in viaggio

Se penso a come ero un anno fa e a come sono ora mi rendo conto quanto io sia cresciuta.
Ho preso aerei, macchine, pullman, treni, tanti treni, navi e un cammello. Ho mangiato per la prima volta cibo cinese, indiano, giapponese e del Qatar. Ho visitato l'Expo, senza pagare e quando una fila di 50 minuti sembrava lunghissima, la magnifica Berlino, ho corso giù per una duna di notte, fatto il bagno in mare di sera e ho assistito all'anteprima del balletto al Teatro alla Scala. Ho parlato di amore con una scrittrice, di crittografia con uno psicologo, di proteste con un poliziotto, di futuro con una giornalista, di pace con dei buddhisti, e ne sono sempre uscita un po' più saggia. Ho imparato i primi 99 versi della Divina Commedia, come si leggono i numeri in tedesco e come si scrivono in arabo, ho capito l'importanza dell'arte e ascoltato 1466 migliaia di minuti di musica su Spotify, bevuto più cocktail di quanti non ne avessi bevuti in tutti gli anni precedenti messi insieme e ho visto il mondo dal 55 piano di un grattacielo. Ho ballato in discoteca, all'Holi Festival of Colors, ad una manifestazione, in pizzeria, in classe, su un furgone mentre attraversava il deserto e su una nave. Ho aperto questo blog e pubblicato per la prima volte le mie poesie.
Mi sono divertita davvero tanto, ma ho anche pianto spessissimo, ho pianto perché ho cercato di scoprire chi fossi e per farlo si deve scavare molto in profondità. Ma almeno alla fine, dopo essermi odiata, nascosta, illusa, ho iniziato a capirci qualcosa, e sono arrivata ad accettarmi.
So di poter sperare in un 2016 brillante grazie al lungo viaggio che ho compiuto in questi ultimi mesi dentro e fuori di me, che non è ancora finito e forse, spero non finirà mai.

martedì 29 dicembre 2015

Nulla, solo la notte

John William è un pittore di emozioni. Qualcuno ha paragonato la sua opera d'esordio, "Nulla, solo la notte" ad un quadro di Hopper. Mi sono trovata d'accordo con questa affermazione durante la lettura della prima parte del libro: i personaggi navigano superficialmente in un ambiente che ha un che di finto, mossi con coordinazione e maestria dall'abile regia dello scrittore, quasi fossero tutti i meccanismi di un unico macchinario.
La scrittura di Williams è in effetti incredibilmente precisa, ricca di descrizioni delicate, dettagliate e pulite, direi chirurgiche. Ciononostante, egli riesce a far trapelare turbamenti interiori, che vanno a toccarci nel profondo. Questo libro scava nel nostro passato con dolcezza e al contempo spietatezza: ancora una volta, è inevitabile il paragone con un'operazione chirurgica. Lo scrittore non sbaglia mai, lo stile è perfetto: non esagera, non tralascia nulla, ci permette di visualizzare l'intera storia con una precisione assoluta.
Questo, però, non significa che lui si limiti a salire in cattedra e a impartire lezioni di stile, perché sviluppa durante tutto il romanzo un climax crescente di tensione, accompagnato dall'alcol che si accumula nei corpi dei personaggi, che sfocia con tutta la sua esplosività liberatoria nel finale, permettendoci finalmente di riprendere fiato. Ed è proprio in quest'ultima parte che il paragone con le opere di Hopper a mio avviso non regge più, perché il libro si anima, prende vita, distanziandosi dalle atmosfere fredde al neon descritte dal pittore statunitense.
Per quanto riguarda i personaggi, ho trovato inevitabile accostare Arthur, il protagonista di questo romanzo, al più noto Stoner. Sebbene le loro storie siano palesemente diverse, entrambi vivono la vita lasciandosi trainare dal tempo, senza mai mai imporsi, senza mai lottare fino in fondo per qualcosa. Sono due figure estremamente deboli, anche se le accuse mosse verso Stoner da Peter Cameron, che non perdona al protagonista l'aver accettato la realtà senza sforzarsi per cambiarla, non si adattano perfettamente anche ad Arthur, il quale vive in questa condizione di rassegnazione perché logorato dal trauma infantile che affronta durante tutto il romanzo, e quindi, una volta conosciuta la sua storia, si tende ad assolverlo.
John William mostra tutto il suo amore per l'uomo, scegliendo di ritrarre personaggi ordinari, per rivelare la straordinarietà che si cela nelle vite di tutti. Forse il motivo per cui le suo opere sono tanto apprezzate dal pubblico è proprio questa sua universalità, che le avvicina ai lettori, permettendoci di entrare più intensamente a contatto con i suoi protagonisti.

Questa è la mia modestissima e personalissima opinione, non sono un critico letterario né ho titolo alcuno per cui questa recensione possa avere un valore. Sarei curiosa di sapere come voi avete interpretato il libro, perciò vi invito a scriverlo nei commenti.

domenica 27 dicembre 2015

Passa il treno

Passa il treno 
Neon freddi 
Carrozze vuote 
Qualche testa veloce 
A catturare i miei pensieri 
Per un breve istante eterno 
Che ora fisso in questi versi

giovedì 10 dicembre 2015

In attesa

L'invidia non è negativa, è un'ammissione di inferiorità. Un atto di umiltà.
Sono ferma ad aspettare l'autobus e li vedo passare, chiusi nelle loro giacche, testa china a proteggersi dal freddo pungente, fianco a fianco, braccio sotto braccio, le mani in tasca. Lui è scuro dalla testa ai piedi, mentre il cappello rosso di lei fa capolino tra l'aria rarefatta e squarcia il buio della sera che si mescola con i loro vestiti come un piccolo rubino in una miniera di carbone. Con la mano libera trascina un carrello di quelli che si usano per portare le buste della spesa. Camminano vicini, i passi completamente sincronizzati, un'anima e due corpi. Non parlano, gli sguardi, abbassati, non si incontrano, ma si sostentano, affrontano il freddo insieme.

Io non so chi siano, non vedo i loro volti e non conosco i loro nomi, potrebbero essere marito e moglie, padre e figlia, non lo so. Tutto ciò che vedo è l'alone di purezza e calore che si trascinano, l'amore che condividono così spontaneamente, senza però lasciare spazio a nessuno per inserirsi. Li guardo allontanarsi con la loro andatura goffa e affrettata, li guardo fino a quando la chiazza vermiglia del cappello non viene inghiottita dagli alberi e dai palazzi, e sento il cuore tremare.  Di fronte a loro, di fronte ad un sentimento che è così sincero e così semplice, io provo invidia. E mi sembra la cosa migliore che io possa fare.